In un futuro neppure troppo lontano, potrà avere un tenore alcolico più basso. Potrà quindi ridurre ulteriormente i già moderati livelli di calorie. Ma, al momento, il Pinot Grigio delle Venezie non può diventare “resistente”, con l’intervento dell’uomo. A chiarirlo è Michele Morgante, professore ordinario di Genetica all’Università di Udine e direttore scientifico dell’Istituto di Genomica Applicata, tra i relatori del convegno che ha riunito gli stakeholder della prima denominazione italiana per estensione (27 mila ettari tra Veneto, Fvg e Trentino) nella città capoluogo del Friuli Venezia Giulia, sabato 26 maggio, su invito del Consorzio guidato da Albino Armani. «Il Pinot Grigio resistente? Mission impossible – ha tagliato corto Morgante – perché, in un certo senso, è un unicum. È un mosaico genetico, con alcuni strati cellulari originari del Pinot Nero e altri mutati al punto da impedire la produzione di antociani (ovvero delle sostanze coloranti, ndr)».
«PINOT GRIGIO RESISTENTE? MISSION IMPOSSIBLE»
Il professor Morgante ha offerto al pubblico un’accurata spiegazione. «Nella pianta ci sono tre strati cellulari: L1, L2 e L3. L1 dà origine all’epidermide, L2 alla sub-epidermide. L3 alle parti vascolari. Nel Pinot Grigio, L1 è rimasto quello del Pinot Nero: da qui il colore ramato della buccia. L2, che nel Pinot Nero è sempre meno e produce antociani, qui è mutato con uno strano riarrangiamento cromosomico, ed è diventato bianco. L2 è anche lo strato che dà origine a polline e alle cellule uovo. Una strada per un Pinot Grigio resistente potrebbe essere quella di produrlo per incrocio. Ma se lo incrociassimo otterremo una varietà bianca, non uguale al Pinot Bianco ma comunque a polpa bianca e non riusciremmo a ricreare questo particolare mosaico che è tipico del Pinot Grigio».
Non si può neppure procedere con le Tea, ovvero le Tecniche di Evoluzione Assistita. «Anche nel campo delle nuove tecnologie genomiche – ha spiegato sempre il professor Michele Morgante – c’è un passaggio in cui, alla fine, occorre riuscire a rigenerare l’intera pianta che contiene la mutazione da introdurre, da un’unica cellula. Una cellula che sono riuscito a riportare allo stato semi-staminale/embrionale, da cui riesco a generare un’intera pianta. Ma in un caso mi ridarà Pinot Nero e in un altro mi ridarà la varietà bianca, senza riprodurre il mosaico tipico del vitigno. Non escludo che in futuro saremo in grado di raffinare la tecnologia. Al momento, purtroppo, per il Pinot Grigio resistente non abbiamo una risposta».
IL PINOT GRIGIO, UN MOSAICO GENETICO IRREPLICABILE
In realtà, tutte le varietà di vite sono mosaici genetici ed è impossibile riportare l’interezza del patrimonio genetico, “tale e quale” in un “incrocio”. Ma la differenza con il Pinot Grigio è sostanziale. «Perché se per le altre varietà andiamo a perdere caratteristiche poco rilevanti ai fini commerciali ed enologici – precisa ancora il professor Morganti – nel caso del Pinot Grigio il mosaico è centrale e senza una delle sue caratteristiche di base perde la sua essenza». Passi avanti si potrebbero invece fare su altri fronti.
«La ricerca può fare molto in termini di sostenibilità, per ovviare ai cambiamenti climatici in viticoltura – ha evidenziato Morganti – soprattutto in assenza di barriere anacronistiche che, al posto di guardare al risultato, guardano al processo che porta al miglioramento genetico con tecniche innovative. Il cambiamento climatico, oltre a portare con sé la possibilità di nuovi patogeni e l’aggravarsi di quelli noti come la peronospora, è legato al tema delicatissimo del contenuto alcolico dei vini. In Francia questa è un’ossessione: il settore pare molto più terrorizzato che in Italia.
TEA AL PALO IN EUROPA, TRA OGM E NEGAZIONE DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
La scienza, oggi, potrebbe aiutare a modulare il metabolismo della vite. «Intervenendo su quello primario – ha chiarito Morganti – che porta alla produzione degli zuccheri e, dunque, dell’alcol; e agendo poi su quello secondario, che riguarda polifenoli, terpeni, eccetera. Il mondo della ricerca può fare molte cose, ma poi serve un corpus normativo razionale ed efficiente e l’accettazione da parte del consumatore. Nel 2021 abbiamo superato il problema dei Piwi che, sino ad allora, non potevano essere inclusi nelle Doc e ora la palla passa ai Consorzi. Sul fronte delle Tea in viticoltura il problema attuale è duplice».
«Bisogna in primis evitare che le varietà vengano assoggettate agli Ogm tradizionali – ha concluso il docente e referente dell’Istituto di Genomica Applicata di Udine – in quanto portarle sul mercato costerebbe dai 30 ai 50 milioni di euro, cifre impensabili per la vite. Infine, in Italia ci sono già in campo varietà Tea resistenti alla peronospora prodotte dall’Università di Verona, ma in base alla normativa attuale non possono essere soggette a protezione della proprietà intellettuale, nonostante abbiano un valore commerciale gigantesco. Perché? Perché sono cloni di Chardonnay. La normativa che regola le varietà vegetali in Europa, di competenza del CPVO, deve adeguarsi, altrimenti nessuno vorrà investire in questa direzione».
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.